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Il Dialogo fallimentare nella coppia

“L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi” – Oscar Wilde

Uno dei metodi più efficaci per mettere a punto una strategia, cioè una modalità che facilita il raggiungimento di un obiettivo, nel nostro caso comunicare efficacemente nella coppia, consiste nell’individuare prima di tutto le cose sicuramente fallimentari da evitare.

Nella tradizione dell’arte dello stratagemma questo metodo viene descritto così: “Se vuoi drizzare una cosa, impara prima tutti i metodi per storcerla di più”.

Quindi inizieremo a passare in rassegna quegli elementi che hanno il potere di condurre il dialogo di coppia nella direzione del fallimento.

Primo ingrediente: Puntualizzare
Un tratto che caratterizza le persone intelligenti nelle loro relazioni è la tendenza a puntualizzare

le situazioni per tenere sotto controllo e portare avanti il rapporto nel miglior modo possibile. Questa potrebbe sembrare una modalità di interazione corretta con il proprio partner perché tende ad evitare equivoci ed incomprensioni che potrebbero trasformarsi in attriti e conflitti.

Ma tale modalità può diventare ridondante e trasformarsi in qualcosa che invece di prevenire problemi li alimenta. Il motivo è che niente è così fastidioso quanto sentire una lezioncina su come dovrebbe essere la relazione e come potrebbe funzionare meglio.

Spesso accade che il partner ha ragione ma il modo in cui lo dice ci irrita e fa nascere in noi la voglia matta di trasgredire delle regole così ben puntualizzate. La persona così ragionevole e saggia si trasforma così in un magnifico rompiscatole che tradotto in termini emotivi significa azzeramento della desiderabilità e reazione di allontanamento o conflitto. Così come un farmaco somministrato in dosi eccessive si trasforma in veleno, cosi un sovradosaggio di puntualizzazioni in cui lo scambio emotivo affettivo viene ridotto a qualcosa di freddo e razionale impoverisce il legame che tiene uniti i due partners.

Va tenuto presente che noi non funzioniamo soltanto sulla base del buon senso e della logica: il più delle volte, soprattutto quando parliamo di relazioni affettive, è l’emotività a guidare i nostri comportamenti. Ecco perché il puntualizzare ci appare come un fondamentale ingrediente del dialogo fallimentare.

“C’è sempre qualcosa di fatale nelle buone intenzioni” – Oscar Wilde

Secondo ingrediente: Recriminare
Anche l’atto comunicativo del recriminare, ossia sottoporre il partner a un processo in cui vengono puntualizzate le sue colpe.

Per quanto possa sembrare una legittima forma di chiarimento, tende a produrre nell’accusato reazioni emotive di ribellione poiché far sentire inquisito qualcuno sposta l’attenzione dai contenuti, su cui si può sempre trovare un accordo, alla sfera emotiva facendo scattare reazioni che vanno dalla stizza al rifiuto. Reazioni che cancellano la colpa e fanno nascere il desiderio di scappare o di aggredire.

Come P. Watzlawick ci ha indicato, quando comunichiamo non conta solo il significato di ciò che diciamo ma il come lo diciamo. La formula comunicativa che utilizziamo definisce in che modo consideriamo il partner e suscita una determinata reazione emotiva da parte sua. Nell’ambito delle relazioni affettive più dei contenuti verbali contano i messaggi emotivi che scaturiscono dalla forma del comunicare. Parlare con un altro non è semplicemente trasmettere informazioni ma “fare con le parole”

Ragione ed emozione non vanno sempre d’accordo, anzi spesso sono in conflitto. E’ importante ricordare che più spesso e’ la ragione a soccombere mentre l’emozione vince.

Come sostiene Nietzsche ”Gli esseri umani sono capaci di sublimi autoinganni: trasformano le proprie colpe in colpe altrui… La memoria e i sensi di colpa cedono volentieri il passo alle sensazioni presenti”

Il recriminare ha ben poco a che fare con l’atmosfera relazionale di un legame affettivo, si adatta piuttosto con la prassi giuridica che utilizza questa tecnica come strategia per dimostrare la colpevolezza dell’imputato. Anche se questo può farci sentire forti della posizione assunta e delle nostre ragioni, non possiamo trascurare il fatto che così facendo produciamo nel nostro partner un sentimento di avversione contro cui s’infrangeranno le nostre ragioni.

dialogo-fallimentare

Terzo ingrediente: Rinfacciare
Se puntualizzare e recriminare producono effetti disastrosi, il rinfacciare li supera entrambi perché tende ad incrementare piuttosto che a ridurre ciò che vorrebbe correggere.

Colui che rinfaccia si pone come vittima dell’altro, e da questa posizione di dolore, utilizza la propria sofferenza per indurre il partner a correggere i comportamenti che l’hanno generata. Ma purtroppo il risultato è che il partner difficilmente cambia comportamento, anzi s’indispone e si arrabbia.

E’ abbastanza noto il fatto che chi si pone come vittima, costruisce i suoi aguzzini, oppure come afferma Maturana: “Non sono i tiranni a creare gli oppressi, ma viceversa”.

Ciò che accade tra chi rinfaccia e che subisce è una forma di rapporto complementare che tende a strutturarsi come un vero copione patologico nel quale chi viene colpevolizzato tende a reagire rifiutando o aggredendo l’altro, il quale usando il vittimismo, lo pone in questa situazione. La dinamica sarà quella di innescare un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire. E’ importante sottolineare che tale situazione viene creata dalla modalità comunicativa del rinfaccio vittimistico.

Come vedremo in seguito, esistono modi di comunicare la nostra sofferenza all’altro, ben diversi dal rinfacciare le sue cattive azioni, che permettono di evitare la costruzione della insana relazione vittima/aguzzino e la disastrosa escalation di questo drammatico copione.

Quarto ingrediente: Predicare
La quarta strategia per un dialogo fallimentare e’ quella con la quale siamo stati tutti educati fin da bambini, poiché tutti abbiamo subito le prediche dei genitori, del prete, della maestra, ecc…

Il predicare rappresenta il trasferire nella relazione a due un metodo che appartiene alla sfera del sermone morale o religioso.

La struttura del fare la predica corrisponde al proporre ciò che è giusto o ingiusto a livello morale e sulla base di ciò valutare e criticare il comportamento dell’altro.

L’effetto di tale modalità comunicativa è di suscitare la voglia di trasgredire le regole morali poste a fondamento della predica stessa.

A chi non è capitato di ribellarsi direttamente o indirettamente a una predica!? Magari avremmo preferito una punizione da parte dei genitori piuttosto che subire la predica.

E’ interessante notare poi come spesso all’interno di una buona predica possiamo riscontrare sia la recriminazione che la puntualizzazione e il rinfaccio vittimistico. In questo caso il fare prediche rappresenta la quintessenza di un dialogo disastroso.

“E’ proprio delle censure accreditare le opinioni che esse attaccano” – Voltaire

Quinto ingrediente: “Te l’avevo detto!”
Oltre ai tre ingredienti già descritti che potremmo definire di base per ottenere un dialogo disastroso, esistono forme minori di comunicazione fallimentare in grado di produrre l’irritazione e l’allontanamento del partner. Si tratta della classica quanto insopportabile sentenza: “ Te l’avevo detto!” “ Lo sapevo io…” oppure “ Non mi hai voluto dare retta, vedi!?”

In tal caso il partner ci comunica che abbiamo sbagliato qualcosa perché non abbiamo dato peso alle sue parole, non lo abbiamo ascoltato. Se io sono già arrabbiato con me stesso perché ho commesso un errore, il fatto che l’altro rimarchi che l’ho commesso perché non gli ho dato retta, non mi aiuta affatto, anzi mi fa arrabbiare ancora di più e mi fa dirottare contro di lui la causa del mio fallimento.

Sesto ingrediente: “Lo faccio solo per te!”
Un’altra sentenza in grado di scatenare le furie della persona più mansueta è “Lo faccio solo per te!”

In questo modo viene dichiarato un sacrificio unidirezionale da parte di uno dei due membri della relazione:

questo non solo fa sentire l’altro in debito ma lo costringe anche a subire qualcosa che lo fa sentire inferiore poiché bisognoso di un atto altruistico. Tale messaggio non richiesto risulta irritante poiché mette in una condizione emotiva ambivalente: dovrei ringraziarlo per la generosità ma sono in difficoltà perché in realtà io non ho chiesto nulla.

“Mai far pesare all’altro quello che facciamo per lui” altrimenti si perde la nobiltà e generosità del gesto che da atto altruistico si trasforma in un gesto egoistico.

Settimo ingrediente: “Lascia stare…faccio io!”
Parliamo ora di quell’atteggiamento che veste i panni della gentilezza ma che in realtà nasconde una sorta di squalifica delle capacità dell’altro. “Cara, lascia, parcheggio io l’auto..” oppure “Caro, lascia fare a me i piatti..” Un aiuto non richiesto non solo non aiuta ma danneggia. L’evocazione del messaggio implicito lascia fare a me perché tu non sei capace, avvelena e intorbida anche la più sincera delle buone intenzioni.

La ricetta segreta: “Biasimare”
Se fortunatamente si avesse a che fare con una persona talmente straordinaria da riuscire ad evitare di entrare in conflitto, una persona in grado di controbattere a ognuna delle tecniche fin qui descritte, con contromosse che riconducano ogni volta il partner ad una serena ragionevolezza, egli potrebbe sempre ricorrere ad una ricetta segreta per rovinare tutto ed ottenere un dialogo sicuramente fallimentare: il biasimare.

Il biasimo non è una critica diretta, non è una contestazione, non è un mettere in dubbio le capacità dell’altro, ma una formula comunicativa in cui nella prima parte ci si complimenta con l’altro ma nella seconda si afferma che però avrebbe potuto fare di meglio, di più o che non ha fatto abbastanza.

Si immagini di arrivare ad un appuntamento con la propria partner con un prezioso regalo per lei. Dopo la magnifica serata trascorsa insieme lei apre il pacchetto e ringrazia dolcemente. Poi tira fuori un anello di oro bianco e brillanti. A questo punto con un sorriso che somiglia più ad una smorfietta dice: “E’ bellissimo caro, ma come hai fatto a dimenticare che a me piacciono i solitari su oro giallo? A questo punto anche il più paziente dei partner avrebbe voglia di mollare tutto e andarsene.

A parte questo esempio estremo, quante volte ci è capitato di sentirci dire dai genitori o dall’insegnante : “Sì va bene, ma non è abbastanza, avresti potuto fare di meglio?”

Il potere fallimentare di questa strana ricetta consiste nel contrasto fra la prima e la seconda parte della frase, una pozione velenosa per la quale non esiste antidoto.

accusare

Esiste una struttura unica che accomuna il dialogo fallimentare nelle sue varie forme?
– La prima caratteristica comune alle forme comunicative fin qui descritte è il basarsi sulle “migliori intenzioni” ottenendo però il risultato contrario. Non è sufficiente partire da buone intenzioni per costruire buone relazioni, piuttosto serve la capacità di utilizzare il linguaggio in modo efficace.

– un secondo aspetto in comune a tutte queste forme comunicative è costituito dal fatto che chi le utilizza è fermamente convinto di avere ragione e procede insistendo anche di fronte alle prime reazioni negative con l’intenzione di far comprendere al partner ciò che è giusto, incalzando ed ottenendo un contrasto che spesso sfocia nel conflitto

– altro aspetto che accomuna le persone che ricorrono a queste forme comunicative è la credenza nel vero assoluto o nel giusto definitivo quando invece andrebbe considerato che la stessa cosa osservata da punti di vista differenti cambia. Quindi non può esistere la verità assoluta perché esistono tante verità quante sono le prospettive che possono essere assunte. Il difetto di queste persone risiede soltanto nel non riuscire a vedere tutti i lati della questione

“Il paradosso dei paradossi è che il contrario del vero è ugualmente vero” – Hermann Hesse

– ancora un atteggiamento comune consiste nel proporre all’altro le proprie opinioni e sensazioni senza dargli la possibilità di esprimersi. Affermare le proprie idee prima di aver ascoltato e valutato quelle dell’interlocutore, può essere una buona tecnica nel dibattito politico dove lo scopo è la contesa e la vittoria, ma non all’interno di un dialogo di coppia dove lo scopo è l’incontro. Gli antichi sofisti, maggiori esponenti dell’arte del comunicare, sostenevano che la realtà non è altro che il linguaggio che usiamo per comunicarla, quindi nei casi descritti purtroppo il linguaggio che utilizziamo ci usa per ferire gli altri e noi stessi

Le strategie comunicative che utilizziamo ci possono rendere artefici di situazioni che siamo in grado di costruire e gestire oppure renderci vittime di ciò che costruiamo e poi subiamo.

BIBLIOGRAFIA

Giorgio Nardone, Correggimi se sbaglio – Ponte delle Grazie, 2010

Paul Watzlanwick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana – Casa Editrice Astrolabio, 1967

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